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Archivi: Punti_interesse

Giramonticano

Si tratta di un itinerario naturalistico che si snoda in sommità dell’argine del fiume Monticano, connettendosi con la rete delle piste ciclabili e della viabilità minore situata in prossimità del corso d’acqua. Si tratta del “corridoio fluviale” del Monticano, dove il patrimonio paesaggistico e gli elementi storico architettonici definiscono dei luoghi di interesse sia per l’escursionista che per la fruizione locale. Il tratto più orientale del GiraMonticano lambisce la città di Motta di Livenza, da cui si può proseguire, via terra o via fiume, verso Caorle o Sacile, sfruttando gli itinerari turistici lungo la Livenza. Rilevante, a Motta, anche il tema spirituale, con il celebre Santuario della Madonna dei Miracoli. Proseguendo verso occidente si giunge a Gorgo al Monticano, dove sorgono due notevoli Ville Venete, ora sedi di affermate attività ricettive, in cui è possibile degustare le peculiarità enogastronomiche locali. Il Monticano, più a monte, è quindi affiancato da ampie aree a parco, ideali per la sosta e lo svago. L’itinerario si spinge quindi verso Oderzo, l’antica Opitergium, nel cui centro storico si possono trovare scavi archeologici di epoca romana, interessanti musei e numerosi e prestigiosi esercizi commerciali. Il percorso raggiunge infine Fontanelle, costeggiando il fiume Monticano, con un curato paesaggio rurale, con molteplici servizi al turista e “luoghi di valore” quali Villa Marcello del Majno, con la sua cantina, la vicina Chiesa di San Pietro e la splendida Villa Galvagna in località Saccon di Lia.

Lunghezza complessiva: circa 26,3 Km.

Durata percorso: circa 2 ore.

Fiume Monticano

Fiume che costeggia il centro storico e offre una  bellissima passeggiata sopra il suo argine, da dove si possono percorrere diversi itinerari.

Giardini Ca’ Diedo

Il giardino pubblico Ca Deido, di Oderzo è un parco comunale dove poter passeggiare, rilassarsi, far sport, giocare con i bambini.

E’ un punto verde della città: alberi, fiori, piante creano una bella atmosfera. Un luogo di pace dove poter camminare tranquilli, dove poter far attività sportiva come la corsa, dove portare i bambini a giocare, grazie alla presenza di giostrine adatte ad ogni età.

Si trovano altalene, castelli, giochi per arrampicata, cavallini di legno. Sono presenti numerose panchine. Si nota la presenza di statue che raccontano un pò di storia, di passato della città di Oderzo.

Situato in centro in via Giuseppe Garibaldi, si accede dal cancello principale, con la mappa disegnata. Nelle vicinanze si arriva in piazza e vicino a bar.

In primavera il giardino si colora, fiori gialli, rose rosse e in autunno le foglie degli alberi cambiano tonalità e creano un immagine suggestiva.

In silenzio si possono sentire molti animaletti, in particolare gli uccellini che abitano negli arbusti.

Sophora Antica

La Sophora japonica è considerata uno tra gli alberi sacri dal Buddismo che solitamente, in Cina e Giappone, veniva sempre piantato in coppia, lungo i sentieri o all’entrata dei templi.

Originaria dell’Asia orientale (Cina), la pianta è stata introdotta in Europa verso la metà del ‘700. Fu scoperta dal missionario gesuita Incarville che,  nel 1747, inviò i primi semi al Giardino Botanico di Parigi. 

In Italia è presente a scopo ornamentale fino a 500 metri di altitudine. In Veneto e in Romagna, ma anche in altre regioni italiane, si è naturalizzata.

La Sophora presente nella Piazza centrale di Oderzo è una pianta imponente, di circa cento anni, impalcata a 4 metri con 5 branche che divaricano in maniera omogenea e che si ripartiscono su a 360°.

La pianta è molto apprezzata dagli Opitergini e dai turisti, oltre che per le dimensioni notevoli che ha raggiunto, anche per l’aspetto molto suggestivo che assume nel periodo natalizio durante il quale viene illuminata con ben 2.000 metri di luci a led, distribuite sul fusto e sulle sulle branche principali, diventando un elemento caratteristico delle serate invernali opitergine e uno sfondo molto richiesto per le foto durante le festività.

Ca’ Lozzio

Gelateria con bar e pasticceria ma anche  centro culturale, spazio espositivo per mostre di artisti contemporanei.

Dipinti di Gino Borsato in sala consiliare

L’Amministrazione comunale nel 1934 con il Podestà Dott. Alessandro Gasparinetti, volle esternare su 4 grandi tele, alcuni momenti di vita opitergina. Contatto alcuni pittori di allora, delibero e incarico per il lavoro il pittore prof. Gino Borsato di Treviso nato nel 1905 e morto il 30.7.1971. Significato dei 4 dipinti

1) Il sacrificio del condottiero C. Voltejo Capitone e dei suoi soldati richiamandosi all’episodio citato nella “nave” di Gabriele D’Annunzio: 1 Veneti, divenuti sudditi di Roma, ad essa furono sempre fedeli e quando nel 48/49 A.C parteggiarono per Cesare contro Pompeo, è noto l’eroico episodio della coorte di numerosi giovani volontari opitergini guidati dal condottiero opitergino C. Voltejo Capitone combattente a bordo di un grande zatterone nell’Adriatico. Accerchiati da Pompeo e vista disperata la loro sorte, anziché cadere nelle mani del nemico, dopo aver a lungo combattuto, si votarono alla morte trafiggendosi l’un l’altro morendo tutti da eroi, dando sublime esempio di fedeltà e sacrificio. A quegli eroici caduti opitergini i Pompeiani riconoscendone il valore, decretarono l’onore del rogo. L’episodio commosse il mondo romano intensamente. L’episodio è cantato da Lucano nella Farsalia, da Livio, Floro, Quintiliano ed altri e da ultimo dal poeta G. D’Annunzio nella NAVE

2) La proclamazione di Paolo Lucio o Paoluccio Anafesto a 1º Doge di Venezia: Il dipinto raffigura la presentazione al popolo di Paolo Lucio o Paoluccio Anafesto eletto 1 Doge di Venezia nell’anno 697 d. C. Opitergino di nascita o di adozione, capo amato e stimato. La elezione avvenne in Eraclea nella Cattedrale di S. Pietro e fu un atto spontaneo dei veneti verso gli opitergini, memori della tragedia vissuta dalla loro città e per riconoscimento dei sacrifici, del profugato e del martirio subito

3) 11 Risorgimento: figura dominante il poeta Francesco Dall’Ongaro. Il dipinto ricorda la figura del Prete, poeta, commediografo e grande Patriota Francesco Dall’Ongaro nato a Tremescque di Mansué, distretto di Oderzo, nel 1808 Egli compi i suoi primi studi a Oderzo. Prese parte ai moti di Venezia e poi a quelli di Roma dal 1848-1849 quale aiutante di Garibaldi, fu deputato alla Costituente e quindi in esilio fino al 1859 Il quadro lo rappresenta durante l’insurrezione romana mentre toglie ad un palazzo d’ambasciata a Roma lo stemma dell’aquila bicipite imperiale e colloca il leone di San Marco simbolo di italianità e libertà. Dopo l’esilio fu professore di letteratura a Firenze e quindi a Napoli ove mori il 9.1 1873

Torresin

La Porta di Treviso conserva ancora la sua torre, diventata del tempo un simbolo di Oderzo. Chi la osserva non può fare a meno di notare diversi riferimenti alla storia della città. Il nome Oderzo sembra derivare da un termine antico che significa “piazza del mercato”, quindi una città aperta a scambi ed incontri. Aveva a difesa alte mura ed alcune porte, che venivano aperte al mattino e chiuse la sera, oltre che in caso di pericolo. Sono poste sulle maggiori vie di comunicazione che un tempo erano passaggio obbligato per entrare in città o per uscirne. Il nome era dato in relazione alla direzione delle strade: verso il Friuli, quindi ad Est, esisteva fino ad un secolo fa la Porta Friulana di Stalla (dall’omonimo borgo posta appena oltre), ma era identificata anche come “di Ponte longo” perché era a ridosso del fiume Monticano. Affianco o sopra alle porte si trovavano delle torri. Quella di Porta Friulana era quadrangolare, alta e massiccia, ma fu abbattuta perché con l’ampliamento della strada i mezzi faticavano a transitare. A Nord c’era la Porta di San Martino che immetteva sull’omonimo borgo; era conosciuta anche come Porta di Conegliano. Al suo fianco, una torre cilindrica ha lasciato l’impronta nel palazzo a cui era appoggiata.

Si conserva ancora la Porta di Treviso, ossia il Toresin (o Torresin), dove entrava la Callalta, antica strada che porta tuttora verso Treviso.

Rimaneggiato nel XIX sec., il Torresin mantiene sulla parte destra, all’altezza della volta dell’arco, tre stemmi nobiliari che ricordano la fondazione del Monte di Pietà opitergino, che aveva la sua prima sede dove oggi c’è una banca. Nel lato opposto vi è lo stemma della famiglia Loredan, che diede alla città diversi podestà. A ridosso del tetto, una lupa probabilmente fa riferimento a quando Oderzo era Municipio Romano. Verso la piazza c’è un orologio, mentre le decorazioni sul lato di Via Umberto sono imitazioni di affreschi parietali a tappezzeria, fatti in epoca recente.

Mura medievali

Le mura di Oderzo raccontano dell’antico borgo medievale fortificato e sono tuttora visibili in più parti del centro storico. La città di Oderzo ha una storia antica: basta un breve giro in centro per incontrare reperti di epoche diverse, ben visibili o confusi tra le costruzioni postume. La parte centrale della città, un tempo anche chiamata Castello, conserva ancora tracce della mura medievali. Già lo storico Marin Sanudo, nel suo viaggio per ‘entroterra veneziano (XV sec.), descrive Oderzo cinta da mura, con diverse torri e con accessi chiusi da porte.

In Calle Monsignor Visintin, tra il ramo interno del Monticano ed il centro, si riconosce bene la fortificazione costruita attorno all’anno 1000. Alte, spesse e con fossato, le mura circondavano il castello e sono visibili affianco della parete sinistra del Duomo; seguendone il tragitto, si nota che si congiungono alla base del Campanile, che in realtà non è altro che una delle torri medievali da cui partì la creazione della Torre campanaria.

In direzione opposta, per un tratto spariscono e lasciano spazio ad una costruzione imponente, posta in gran parte sopra al ramo interno del Monticano; ricompaiono poi, massicce e tondeggianti, a creare un quadrilatero che lascia immaginare le dimensioni originarie. Le mura medievali si confondono poi con altre costruzioni, ma si possono notare le diverse stratificazioni.

Quando il territorio viveva un lungo periodo senza conflitti, a cavallo tra il ‘500 ed il ‘600, le mura hanno perso la loro funzione e quindi pian piano hanno lasciato spazio ad alte costruzioni o le hanno inglobate. Lo si può notare dopo Piazza Castello, verso la Piramide in Calle Opitergium.

Palazzo dei Battuti e Ca’ Balbi

Il complesso comprende Palazzo dei Battuti e Ca’ Balbi e risulta essere uno degli edifici di pregio situati in Piazza Grande.

A dividere Piazza Grande e Piazza Castello c’è il complesso di Palazzo dei Battuti e Ca’ Balbi. Sappiamo che l’area sulla quale sorge era abitata fin dal VI secolo a.C.. Pare che uno tra i primi proprietari fosse un certo Barbieri, probabilmente commerciante di lane e tessuti, che poi lasciò alla confraternita dei Battuti di Oderzo la porzione dell’edificio che prese il nome di Palazzo dei Battuti. La facciata verso Piazza Grande vanta diversi affreschi, anche se in parte deteriorati dal tempo, dalle intemperie e dai tanti interventi che l’edificio ha subito nei secoli. Nella parte di Ca’ Balbi la decorazione visibile è composta da affreschi a tappezzeria, mentre sulla Casa dei Battuti si possono scorgere forme rotondeggianti che riempiono porzioni di parete tra le riquadrature delle finestre. Entrambi in palazzi mostrano un fregio a ridosso del tetto, che resta la parte meglio conservata. Entrando in Palazzo dei Battuti da Piazza Castello, si può subito ammirare un pavimento musivo di epoca romana, forato da un pozzo medievale. Questa
particolare sovrapposizione, non unica in città, aiuta a conoscere la lunga storia del nostro territorio.

Al primo piano si conservano travature decorate ed un ciclo di affreschi del 1472, composto da due coppie di Santi: a sinistra San Giovanni Battista e San Bernardino da Siena, a destra San Prosdocimo ed altra Santa non definita. Al centro manca la parte di affresco forse raffigurante una Madonna in trono con Bambino, riconosciuto in quello conservato oggi presso l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Gli affreschi ed il soffitto facevano parte di una cappella privata, riservata alla Confraternita dei Battuti.

Palazzo Amalteo

Palazzo Amalteo, semplice ma d’impatto, si estende per buona parte di Via Umberto I, vicino al Ponte del Gattolè. In origine muratori, nei secoli cambiarono i loro interessi, dedicandosi ad altre attività.

Come altri Palazzi storici, Palazzo Amalteo si estende per buona parte di Via Umberto I, vicino al Ponte del Gattolè.

Il Palazzo fu voluto da Francesco Amalteo all’inizio del XVI sec. quando sposò Emilia Melchiori.

Le sei arcate di questo imponente edificio si distinguono tra quelle del primo tratto di Via Umberto I, vicino al Ponte del Gattolè. Un tempo la proprietà comprendeva anche giardini, orti ed altre servitù.

Negli anni cinquanta del ‘900 la struttura subì diverse trasformazioni, conservando solo l’originaria facciata fronte strada. Di questa catturano lo sguardo: una targa che ricorda alcuni membri della famiglia e lo stemma degli Amalteo, raffigurante una cornucopia contenente spighe, segno di abbondanza. Il cognome della famiglia sembra arrivare dalla professione dei capostipiti: a-malta, cioè muratori. Le generazioni successive, però, intrapresero anche la carriera ecclesiastica o si distinsero nelle arti e nelle scienze. Francesco arrivò infatti ad Oderzo come professore di Lettere: oltre che qui, insegnò Greco Antico e Latino anche a Motta di Livenza e Sacile. Attilio, invece, fu membro della Compagnia di Gesù e viaggiò in diverse zone d’Europa come messaggero per la Santa Sede. La famiglia era imparentata col
cardinale Girolamo Aleandro, che fu tra i primi Bibliotecari Vaticani e ad Oderzo allestì una tra le più importanti biblioteche d’italia: quando il ramo opitergino della famiglia si estinse, la raccolta contava più di 6000 unità tra volumi, incunaboli e manoscritti, oltre ad una pinacoteca che vantava opere di
Paris Bordon, Pomponio Amalteo, Cima da Conegliano e Jacopo Bassano. Nel Duomo cittadino gli Amalteo avevano la loro cappella, dedicata allo Spirito Santo.

Villa Ottoboni Stepski

Nel romantico giardino della tenuta della famiglia Rechsteiner Stepski Doliwa si conserva l’antica Villa Veneta, gioiello dell’opitergino. La villa sembra oggi ai limiti del centro di Piavon di Oderzo, ma fino al secolo scorso la zona, località Frassenè, era considerata nucleo nevralgico dell’attuale frazione. Piavon fino al 1929 era sede di Comune e proprio affianco alla villa si trovava il Municipio. Il borgo Frassenè, che si allungava nella campagna confinante con Chiarano e Ponte di Piave, è nota fin da tempi antichi per un grande bosco, forse a prevalenza di frassini, che poi diventerà il toponimo della località. Gran parte di questi terreni, man mano che gli alberi venivano tagliati per rifornire i cantieri navali della Serenissima Repubblica, andarono progressivamente dedicati al pascolo. Le terre furono messe all’asta e nobili famiglie li acquistarono per essere messa a coltura; tra le prime vi fu quella della vite, che ancor oggi prevale. Tra le prime famiglie acquirenti troviamo la famiglia Ottoboni, che fu proprietaria della villa e di diverse altre abitazioni. Per successione, non essendoci eredi maschi, la villa passò alla famiglia Bonamico, di origine milanese, che presto la vendettero così come le altre proprietà. Dopo altri possessori arrivò alla famiglia degli attuali proprietari: Rechsteiner Stepski Doliwa. Dalle mappe ‘700 deduciamo che la villa nel tempo non ha subito stravolgimenti importanti, almeno nella parte esterna; sono ancora ben riconoscibili gli antichi camini ad imbuto rovesciato. A fianco sorge un imponente ed elegante barchessa, che fa riaffiorare immagini di un tempo lontano in cui questi nuclei erano il perno della realtà agricola e sociale locale. Altre costruzioni costituiscono la parte rurale dell’attuale azienda agricola e formano una corte adiacente all’esteso giardino, che conserva la ghiacciaia e numerose specie arboree.

Villa Galvagna Giol

Negli ultimi anni dell’Ottocento fu ripetutamente ospite della baronessa Galvagna la regina Natalia di Serbia; una bella fotografia ritrae le signore davanti alla grande vetrata a bifora della villa; dietro di loro, in piedi, c’è Draga Mascin, allora dama di compagnia della regina ma destinata a diventare, malgrado le umilissime origini e l’opposizione di tutti, regina di Serbia a sua volta, avendo sposato il figlio di Natalia, re Alessandro Obrenovic. Un altro personaggio particolare che fu ospite della ville fu Richard Lionel Guidoboni Visconti, presunto figlio di Honoré de Balzac, sepolto nel cimitero di Oderzo. Il bel libro di Eugenio Bucciol “ Da Versailles a villa Galvagna” che ne illustra la storia fu presentato nel 1999 nel salone della villa.

Al tempo del barone Galvagna, la villa ospitò una famosa collezione di oggetti di arte giapponese oltre che ad una importante raccolta di reperti archeologici, che si possono oggi ammirare in gran parte nel Museo Archeologico di Oderzo. Subentrato nella proprietà della villa, il dottor Giovanni Giol ne volle far dono al Museo con l’intento di salvarli dalla depredazione causata dagli ultimi eventi bellici. Infatti, occupata prima dalle truppe nemiche e poi dagli alleati, diventata ospedale militare americano e quindi rifugio per gli sfollati della grande alluvione del Polesine, la villa cadde in degrado e solo con il recente restauro sapientemente realizzato da Alberto Giol, unitamente a quello della Barchessa, entrambe terminate nel 1999, ha potuto riacquistare la sua perduta bellezza.

La barchessa una volta adibita ad uso agricolo, pur mantenendo il suo carattere originario tipico della campagna veneta, è stata restaurata con particolare attenzione allo scopo cui la si voleva destinare. Grandi spazi sapientemente divisi, cucine attrezzate e servizi adeguati ne fanno una struttura particolarmente adeguata a ricevimenti di matrimonio, meetings aziendali, manifestazioni di vario tipo che, oltre all’aiuto di eccellenti servizi di catering, possono anche contare sulla bellezza veramente unica dell’ambiente in cui è ubicata.

Il mutare delle stagioni colora il parco secolare di Villa Galvagna Giol che si presenta sempre adatto in ogni stagione ad ospitare gli eventi da organizzare. Disegnato agli inizi del XIX secolo secondo la moda romantica dell’epoca, è molto suggestivo e si svolge per una superficie di dieci ettari; piante centenarie e catalogate come tra le più rappresentative nella loro specie lo arricchiscono specchiandosi nell’acqua dei tre laghetti che sono uniti tra di loro da numerosi corsi d’acqua attraversati da ponticelli. Tutto da scoprire con passeggiate lungo i sempre nuovi sentieri che lo attraversano.