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Archivi: Punti_interesse

Palazzo Federici

In questa via contornata da edifici storici, Palazzo Federici è quello che racconta la presenza di una delle famiglie più antiche di Oderzo, testimoniata anche dall’affresco nel sottoportico.

Il palazzo non e l’unico appartenuto ai Federici, ma è sicuramente il più rappresentativo per raccontare l’importanza di questa nobile famiglia, che è una delle più antiche della città di Oderzo. Le prime notizie attendibili sui membri del casato ci arrivano già dalle cronache del 1509: si racconta che Vincenzo de Federici con 300 fanti, assieme a Domenico Melchiore de Tommasi con 200 fanti, liberarono il territorio di Sacile e Serravalle (parte dell’attuale Vittorio Veneto) nella guerra della Serenissima Repubblica di Venezia contro la Lega di Cambrai. I figli di Vincenzo si impegnarono, nel 1569, a mantenere
alla Serenissima 20 uomini da remo e 10 soldati. Lo spirito avventuroso dei Tomitano continuò anche nelle generazioni successive con Cesare Federici, gioielliere con bottega a Venezia che, per cercare materiali preziosi e pietre rare, compi un “Viaggio […] nell’India Orientale et oltre l’India: Nel quale si contengono cose dilettevoli dei riti, e del costumi di quei paesi”, come testimonia il titolo del diario pubblicato a Venezia nel 1587. Altri membri della famiglia praticavano come notai, letterati e
medici. Il palazzo sulla facciata presenta tracce di figure affrescate e di motivi geometrici, mentre si conserva ancora un festone con motivi vegetali, spesso usati nel Rinascimento. Gli affreschi meglio conservati sono visibili all’interno, come quelli a ridosso del soffitto dove sono rappresentati una serie di stemmi quasi sicuramente relativi ai vari rami della famiglia. Nello stesso salone si ammirano affreschi a motivo floreale che decorano la stanza con eleganza.

Casa dei Battuti

Nel nucleo medievale della città si trova questa residenza privata che un tempo era proprietà della Confraternita dei Battuti, che ne fece la loro sede ed ospitava la ruota degli Esposti.

La Confraternita dei Battuti sembra essere stata presente ad Oderzo sin dal 1313; nei secoli successivi gestiva molti patrimoni immobiliari, che garantivano la loro sussistenza, oltre al mantenimento di un Hospitale e di un orfanotrofio. Il primo era sito davanti alla Chiesa della Maddalena (Via Garibaldi), mentre non è chiaro dove si trovasse l’orfanotrofio; alcuni elementi fanno pensare che fosse proprio in questa grande struttura in Contrada Rossa, che oggi è un’abitazione privata. Casa dei Battuti, infatti, conserva due ampi saloni: quello al piano terra probabilmente fungeva da dormitorio per i piccoli e l’altro al piano superiore era la Sala del Capitolo, dove i confratelli si riunivano. Altri ambienti fungevano da Sacrestia e da abitazioni del “campanaro” del Duomo e del personale a servizio dell’ospizio. Negli interni si trovano alcuni interessanti affreschi che rappresentano i Santi solitamente invocati dagli aderenti alla Scuola dei Battuti: la Madonna della Misericordia ed i Santi Giovanni Battista e Maria Maddalena. Altri affreschi ritraggono i Battuti in preghiera; osservandoli scopriamo che anche le donne potevano partecipare alla “Scola”. Un altro ancora raffigura una processione formata da cinque uomini con cero e disciplina. Sulla facciata rivolta verso l’attuale Via Mazzini si trova ancora lo stemma lapideo con al centro il flagello, un bastone con cinque catene col quale i Battuti usavano infliggersi sferzate su gambe e schiena, per partecipare anche fisicamente ai tormenti della Passione di Cristo. Al limite del tetto si ammira un elaborato fregio affrescato. Il lato dell’edificio che da su Contrada Rossa è elegante ed austero; la sua lunga storia trapela da un’iscrizione posta sullo stipite di marmo. L’elegante giardino interno è stato censito nel Catasto del XVI sec. come “orto e brolo”, confinante con il ramo del Monticano non più esistente.

Palazzo Melchiori Porcia e Brugnera

Situato in Piazza Castello, il palazzo quattrocentesco conserva ancora in facciata un bassorilievo con lo stemma dei Melchiori, che tra i membri vantava noti poeti e letterati.

È questo l’edificio cittadino che più di altri ha conservato la sua struttura originaria, tipica del XIV secolo. La sua posizione a ridosso della Porta di San Martino e depositi visibili nel seminterrato, fanno presumere che una parte del palazzo tungesse da magazzino per le merci, con accesso dal sottoportico. Le sue ampie arcate, infatti, permettevano il transito di carri nei magazzini e nei cortili interni.

Osservando il fianco destro si deduce che vi fosse addossata una torre, demolita da tempo, e che la proprietà si allungasse verso la Contrada del Cristo. La facciata da questo lato conserva tracce di affresco a finti mattoni rossi che formano losanghe. In bassorilievo, sulla facciata ed affrescato sotto il portico, si nota lo stemma dei Melchiori. Pare che questa sia stata la prima dimora opitergina della famiglia che ha dato i natali numerose personalità, abili in diverse arti e discipline come letteratura, poesia, medicina e pittura. Tra i più noti vi sono Francesco, poeta e letterato, amico e collega di Torquato Tasso, oppure Giacomo, abile commerciante in tutta Europa, Medio Oriente, India ed in alcune zone d’America. Era tanta la sua ricchezza da far pensare che verso la fine del ‘500 avesse speso circa 3000
ducati per costruire nel Duomo un monumentale altare e donare una tela della Scuola del Tintoretto raffigurante il Battesimo di Gesù al Giordano, ancora oggi conservata, come il suo busto sul presbiterio, opera di Alessandro Vittoria.


A Giacomo Melchiori si devono anche altre opere, come la ricostruzione nei primi anni del XVII sec. della Chiesa del convento delle Domenicane, ossia la Chiesa della Maddalena, dove è sepolto. All’interno di Palazzo Melchiori sono conservati soffitti e specchiature a stucco del 1737. Agli inizi del secolo scorso il palazzo è stato acquistato dai Porcia e Brugnera, casato che ha avuto importanti relazioni con la nobiltà friulana e che tuttora lo abita.

Palazzo Lucheschi

Con la sua struttura a fondaco veneziano, Palazzo Lucheschi oggi è sede del Crédit Agricole e si trova tra due elementi di rilievo ad Oderzo: il fiume Monticano e le Mura medievali.

A ridosso delle mura medioevali, affacciata sul fiume Monticano, si trova la costruzione che conserva l’impianto tipico del fontego (fondaco) veneziano, molto usato nelle città dove commercio era una delle realtà maggiori. La tipologia di costruzione e la vicinanza alla via d’acqua fa presumere che la struttura inizialmente fungesse nella parte inferiore da magazzini e botteghe, mentre al primo piano da abitazione. L’edificio subì diverse trasformazioni, cambiando più volte destinazione: albergo, negozio, abitazione e persino, nella parte dello scoperto con una struttura lignea, teatro. Oggi è sede del Crédit Agricole. La facciata verso il fiume conserva l’aspetto della tipica struttura tripartita con trifora centrale e finestre laterali. Nel lato verso Piazza Grande sovrappone alle mura un’elegante loggetta del XVIII secolo. I tanti interventi di restauro cambiarono l’impianto interno iniziale, ma nell’ultimo questo emerse rivelando, oltre che a un pavimento a mosaico di epoca romana a piano terra, diversi affreschi al secondo piano, in parte danneggiati e di autore ignoto. I soggetti sono di due tipologie: immagini tratte dal paesaggio locale e figure mitologiche. Anche se ne porta il nome, non è certo che il palazzo fosse di proprietà della famiglia Lucheschi, poiché le prime notizie certe sui possidenti risalgono al 1807 e riconducono alla famiglia Obici. Lucheschi avevano ad Oderzo anche altre case ed erano di professione artigiani, con attività affini alle pelli. I ramo della famiglia che si staccò da Oderzo si stabili a Colle Umberto, dando il via ad attività di “linario)” Contrariamente al ramo opitergino, che si estinse, questo esiste ancora.

Palazzo Diedo Saccomani / Ca’ Diedo

L’attuale sede del Comune di Oderzo un tempo era di proprietà della famiglia Diedo. Passò poi ai Saccomani, noti per la florida attività molitoria durante la Serenissima Repubblica; possedevano infatti numerose ruote lungo il fiume Monticano.

Del palazzo, opera dell’architetto Giorgio Massari, dalla strada si fanno subito notare le colonne di stile toscano che oltre a delimitare il portico, danno solennità alla facciata. L’interno ha la tipica suddivisione della Villa Veneta. La famiglia Diedo donò ad Oderzo almeno quattro podestà: Giovanni (1477), Marco Antonio (1517), Alvise (1560) e Bonaventura (1747). Probabilmente fu proprio quest’ultimo a volere un palazzo con due barchesse laterali e giardino, che si trovava nella parte opposta a quella porticata e non era di grandi dimensioni, dato che vi era anche un laghetto ed era coperto a vigna. Le vicende della famiglia e la prematura morte di Gerolamo Diedo prima di aver avuto figli, portarono alla vendita di questa nobile dimora. È del 1808 l’atto di vendita da Giuseppe Diedo e Longo Adelaide ai fratelli Antonio e Giuseppe Saccomani. Circa sessant’anni dopo la struttura venne acquistata dalla Municipalità e nel 1887 divenne sede degli uffici comunali.

Lo spazio retrostante fu organizzato in un elegante giardino che inglobava anche la Ghiacciaia, ancora esistente, oggi chiusa al pubblico ma che fu ad uso della comunità fino alla seconda metà del ‘900. Purtroppo, già durante la Grande Guerra la scarsità di legname e le esigenze belliche portarono all’abbattimento di molti alberi; le piante attuali sono per lo più state piantate successivamente. Al centro del giardino è posta la statua di Luigi Luzzatti, che fu Presidente del Consiglio dei Ministri, economista dalle idee innovative e promotore della cooperazione sociale. Ad Oderzo, ad esempio, portò la ferrovia e le case popolari; promosse inoltre, assieme a Valentino Rizzo, la costruzione degli argini del fiume Monticano che esondando danneggiava spesso la città.

Nel 1864 il Comune acquistò il Palazzo per farne, nel 1887, la sede municipale, destinazione che dura tuttora. Nella sala riunioni del Consiglio comunale sono esposti quattro grandi dipinti commissionati a Gino Borsato nel 1935, per celebrare episodi leggendari e storici della comunità opitergina.

Ca’ Giorgio

La bella ed imponente costruzione, che risalta anche per il colore rosso del cocciopesto ed il verde dei balconi, un tempo faceva parte di una più vasta proprietà

L’edificio presenta una facciata a cocciopesto, risaltando l’ampiezza della costruzione ad angolo tra Via Umberto I, Piazza Tomitano e Via Pescheria. Un tempo la proprietà comprendeva anche tutto il terreno che raggiungeva il fiume Monticano e vi erano “fabbrichette” a servizio dei vari negozi del piano terra fronte strada, che ancora sussistono, come le fabbriche orafe della famiglia Artusato.
La casa prende il nome dalla famiglia Giorgio, che ne era proprietaria già nel ‘600; era tra le venti famiglie che fin dalla prima metà del ‘500 facevano parte del Maggior Consiglio cittadino. Oltre a questa casa,
Giorgio possedevano un palazzo in Borgo della Maddalena e ed altre proprietà nella borgata di Visnà di Sopra. La casa in Borgo Maggiore, nome dell’antica Via Umberto I, dopo l’ultimo restauro del 2007 ha rivelato, sulle pareti interne del primo piano, traccia delle antiche arcate che sono molto più ampie di quelle dei portici attuali: segno di una struttura modificata per un uso forse pubblico. I frammenti e le fasce di affreschi affiorati portano a confermare questa ipotesi, visto che oggi sono contigui in diverse proprietà, quindi in passato avrebbero decorato saloni molto ampi.

La strada basolata tra Piazza Grande e Piazza Castello

Nella galleria pedonale che collega Piazza Grande con Piazza Castello sono visibili i resti di uno dei cardines della città.

Dell’asse viario, che attraversava Opitergium in senso nord-ovest/sud-est, si conservano alcuni tratti del basolato stradale, originariamente largo quattro metri.

Area delle ex carceri

In prossimità di Piazza Grande (già Piazza Vittorio Emanuele II) si trova il ristorante “Gellius”, Calle Pretoria n. 2, nelle cui sale sono stati musealizzati i resti archeologici di uno scavo effettuato tra il 1992 e il 1995.

L’area presenta una sequenza particolarmente articolata di reperti e murature, la cui datazione comprende età diverse:

augustea: fondazioni del muro di cinta e di una porta urbica della città romana, strada basolata;

tardoantica: fasi di rifacimento della porta urbica;

altomedievale: muro di cinta con reimpiego di elementi di età romana quali basoli stradali, elementi funerari, ecc.;

medievale: resti delle murature del castello attestato a partire dall’XI secolo;

moderna-contemporanea. carceri cittadine.

Via dei Mosaici

Lungo Via dei Mosaici, in un’area contraddistinta in età romana dalla presenza di case d’abitazione (domus) complessivamente indagate tra 1951 e 1988, si conserva a vista la parte inferiore di due pozzi. Di questi, l’uno è in corrispondenza di un settore in cui sono testimoniate le due principali fasi edilizie di una domus costruita in età augustea e poi modificata nel II sec. d.C.; l’altro taglia un’importante sequenza stratigrafica dell’eta del ferro caratterizzata da più piani stradali in ghiaia.

Sulla pavimentazione della piazzetta antistante sono state collocate due pavimentazioni musive a tessere bianche e nere appartenenti alla domus di II secolo sopra citata; una terza pavimentazione è esposta a parete nel corridoio di accesso al fabbricato moderno.

Via Dalmazia

Nell’area della Cantina Sociale in Via Dalmazia sono stati indagati nel 1989 un ampio tratto di sottofondo stradale in ghiaia e i resti di almeno un edificio di età augustea (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.).

Attualmente si conserva a vista, nel cortile della cantina, la parte inferiore di un pozzo in sesquipedali e mattoni di cui è stata accertata una profondità di m. 5,72 rispetto all’attuale piano di calpestio.

Area del Foro Romano e Domus via Mazzini

Compresa tra le attuali Via Roma e Via Mazzini è un’ampia area all’interno della quale sono visibili i resti del complesso forense e di una grande domus, indagati a più riprese tra 1978 e 1995.

Del foro di età augustea (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.) si conservano a vista i resti della piazza lastricata di cui è stata appurata una larghezza di m. 40 e una lunghezza di almeno 98,7 metri; altre evidenze sono relative alla basilica civile (lato ovest) e alla fondazione di una imponente gradinata (lato meridionale), probabilmente attribuibile al capitolium della città (tempio dedicato alla triade capitolina).

Lungo Via Mazzini sono visibili alcuni ambienti di una domus anticamente ubicata all’angolo dei due maggiori assi stradali della città. Delle strutture musealizzate in situ, databili in età augustea (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.), si distinguono alcune pregevoli pavimentazioni musive e in battuto bianco con inserzioni di tessere multicolori, oltre che i resti di un ambiente con riscaldamento a ipocausto, riferibile al settore termale della casa.

Chiesetta di San Giuseppe

Appartenuto ai monaci dell’Abbazia di Busco, l’oratorio fu successivamente trasformato in chiesa agli inizi del 1700, con la dedicazione a san Giuseppe a seguito della predicazione quaresimale di Padre Marco d’Aviano.

La devozione per il santo si diffuse rapidamente a Oderzo e la chiesetta divenne quindi troppo piccola. I fedeli decisero allora di ampliarla a proprie spese  e di erigere anche un campanile sul timpano della facciata.

Nel 1737 venne allestito un presepio permanente i cui personaggi, alla vigilia di ogni 19 marzo (San Giuseppe) venivano vestiti con ricchi costumi da un addobbatore proveniente da Treviso.

Nel corso dei secoli si sono succeduti diversi restauri che hanno modificato la planimetria e la facciata. E’ una piccola chiesa ad aula unica e pianta composita. All’interno, sulla destra, si aprono due cappelle laterali, nella prima vi è racchiuso il presepio permanente e nella seconda si trova un altare dedicato a San Giuseppe. Il presbiterio ha la volta a crociera con stucchi novecenteschi. Nella parete di fondo è inserito un affresco di notevole qualità raffigurante la Madonna con il Bambino. Si potrebbe ipotizzare che l’affresco sia stato eseguito verso la fine del XIV secolo da un artista di area padana e molto probabilmente di ambito veneto.

La chiesetta è oggi luogo di ritrovo per la recita del Santo Rosario, nel mese di maggio, e polo attrattivo della festa paesana la domenica in cui si festeggia San Giuseppe.

Chiesa di Santa Maria Maddalena

Le origini di questa chiesa sono antichissime, si fanno infatti risalire attorno all’anno Mille, in piena età medievale. Della primitiva fabbrica della chiesa poco è giunto fino a noi: sagrestia e campanile romanico sono le parti più antiche. 

Verso la prima metà del XVI secolo venne ceduta dai Monaci Eremiti alle Monache Domenicane, che qui insediarono il loro monastero. Erano molteplici le attività che vedevano impegnate le religiose, tra le quali la più importante era quella di occuparsi dell’educazione della gioventù femminile delle migliori famiglie opitergine. Il monastero prosperò fino al 1806, quando venne chiuso assieme alla chiesa. 

Nel 2000 risale il recupero delle caratteristiche trabeazioni in legno intarsiato del XVII secolo, che per decenni erano celate sotto una controsoffittatura in gesso.

La chiesa è nota anche perché al suo interno conserva un cospicuo numero di tombe delle più note e antiche famiglie opitergine, oggi visibili solo in parte nella pavimentazione, ma che un tempo conferirono a questa chiesa l’appellativo di “Piccolo Pantheon Opitergino”.